La vita, lo sappiamo, a volte è irta di ostacoli. Per molti, invece, lo è sempre. E non solo in senso metaforico.
Viviamo in una società che si dice inclusiva, ma lo è solo a parole perché l’asticella che definisce il livello di “normalità” sociale, economica o fisica, è posta molto in alto. Troppo in alto e per tante persone diventa un ostacolo insormontabile che ne limita lo svolgimento della vita quotidiana.
A volte anche solo un piccolo gradino, una porta troppo stretta, la mancanza di uno spazio di manovra o di un corrimano o una scala troppo ripida relegano molti a una vita di serie B perché impediscono loro l’accesso “normale” ai servizi pubblici, ai negozi, all’ambulatorio del medico, alla farmacia, alla scuola, al bar, alla casa di un amico. In maniera, direi, molto poco cortese e poco lungimirante abbiamo definito queste persone “handicappati” proprio perché non raggiungono la cosiddetta “normalità”, senza capire che se l’asticella fosse posta a terra saremmo tutti “normali” e tutti potremmo vivere una vita dignitosa.
Vale solo la pena ricordare che anche le persone “normali” possono diventare temporaneamente “disabili” e subire, con sorpresa, le angherie di ostacoli insormontabili come quando devono andare al lavoro con una gamba ingessata o entrare in un negozio con il figlio neonato nella carrozzina. Ripensare a una città senza barriere è possibile e sarebbe un importante atto di equità sociale.
Un primo e importante passo fatto in questa direzione è rappresentato dalla legge 09/01/1989 n. 13 Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati e, soprattutto, al D.M. LLPP 14/06/1989 n. 236 Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche. (Pubblicato in suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n.145 del 23 giugno 1989) che conteneva le prescrizioni tecniche previste dall’art. 1 della L. 13/1989.
Le norme contenute nel decreto si applicano:
Il D.M. introduce il concetto di barriere architettoniche che vengono definite come:
Il D.M. introduce anche una classificazione del grado di fruizione di uno spazio costruito distinguendo tre livelli.
L’accessibilità esprime il più alto livello di qualità dello spazio costruito in quanto ne consente la totale fruizione nell’immediato, corrisponde all’assoluta mancanza di barriere architettoniche. Chiaramente questo livello implica, per le costruzioni private, un’adeguata disponibilità di spazi interni e di idonei servizi per l’accesso al piano quali, ad esempio, ascensori. Si tratta di una dotazione costosa e quindi difficilmente implementabile nella totalità delle costruzioni. Per evitare “un tutto o niente” che avrebbe comportato il fallimento della prospettiva dell’eliminazione delle barriere architettoniche, il legislatore ha così proposto altri due livelli di qualità dello spazio costruito.
La visitabilità rappresenta un livello di accessibilità limitato a una parte più o meno estesa dell’edificio o delle unità immobiliari, che consente comunque ogni tipo di relazione fondamentale anche alla persona con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. La visibilità permette a tutti di accedere agli spazi di relazione (soggiorno e pranzo in un appartamento o al luogo di lavoro o di incontro) e a un servizio igienico. Questo permette di avere una vita di relazione: tutti possono andare a casa dell’amico e chiacchierare e pranzare con lui e avere la disponibilità di un adeguato servizio igienico.
L’adattabilità rappresenta un livello ridotto di qualità, potenzialmente suscettibile, per originaria previsione progettuale, di trasformazione in livello di accessibilità. Questo livello viene incontro soprattutto a situazioni per le quali l’eliminazione, anche parziale, delle barriere architettoniche costituirebbe un costo non sostenibile o una limitazione alla vivibilità dell’appartamento. L’adattabilità, in pratica, è una visitabilità o accessibilità differita nel tempo e ottenibile a costi limitati in modo da non impedire a nessuno un eventuale acquisto futuro dell’appartamento.
Il D.M. prescrive in quali casi debbano essere garantiti i tre diversi livelli di qualità dello spazio costruito appena visti.
L’accessibilità deve essere garantita per quanto riguarda:
a) gli spazi esterni (il requisito si considera soddisfatto se esiste almeno un percorso agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotte o impedite capacità motorie o sensoriali);
b) le parti comuni (negli edifici residenziali con non più di tre livelli fuori terra è consentita la deroga all’istallazione di meccanismi per l’accesso ai piani superiori, ivi compresi i servoscala, purché sia assicurata la possibilità della loro istallazione in un tempo successivo. L’ascensore va comunque installato in tutti i casi in cui l’accesso alla più alta unità immobiliare è posto oltre il terzo livello, ivi compresi eventuali livelli interrati e/o porticati).
Devono inoltre essere accessibili:
a) almeno il 5% degli alloggi previsti negli interventi di edilizia residenziale sovvenzionata, con un minimo di 1 unità immobiliare per ogni intervento.
b) gli ambienti destinati ad attività sociali, come quelle scolastiche, sanitarie, assistenziali, culturali, sportive;
c) gli edifici sedi di aziende o imprese soggette alla normativa sul collocamento obbligatorio (…).
Ogni unità immobiliare, qualsiasi sia la sua destinazione, deve essere visitabile, fatte salve le seguenti precisazioni:
a) negli edifici residenziali non compresi nelle precedenti categorie il requisito di visitabilità si intende soddisfatto se il soggiorno o il pranzo, un servizio igienico e i relativi percorsi di collegamento interni alle unità immobiliari sono accessibili;
b) nelle unità immobiliari sedi di riunioni o spettacoli all’aperto o al chiuso, temporanei o permanenti, compresi i circoli privati, e in quelle di ristorazione, il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se almeno una zona riservata al pubblico, oltre a un servizio igienico, sono accessibili; deve essere garantita inoltre la fruibilità degli spazi di relazione e dei servizi previsti, quali la biglietteria e il guardaroba;
c) nelle unità immobiliari sedi di attività ricettive il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se tutte le parti e servizi comuni e un numero di stanze e di zone all’aperto destinate al soggiorno temporaneo (…) sono accessibili;
d) nelle unità immobiliari sedi di culto il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se almeno una zona riservata ai fedeli per assistere alle funzioni religiose è accessibile;
e) nelle unità immobiliari sedi di attività aperte al pubblico, il requisito di visitabilità si intende soddisfatto se, nei casi in cui sono previsti spazi di relazione nei quali il cittadino entra in rapporto con la funzione ivi svolta, questi sono accessibili; in tal caso deve essere prevista l’accessibilità anche ad almeno un servizio igienico.
(…)
f) nei luoghi di lavoro sedi di attività non aperte al pubblico e non soggette alla normativa sul collocamento obbligatorio, è sufficiente che sia soddisfatto il solo requisito dell’adattabilità;
g) negli edifici residenziali unifamiliari e in quelli plurifamiliari privi di parti comuni, è sufficiente che sia soddisfatto il solo requisito dell’adattabilità.
Ogni unità immobiliare, qualunque sia la destinazione, deve essere adattabile per tutte le parti e componenti per le quali non è già richiesta l’accessibilità e/o la visitabilità, fatte salve le deroghe consentite dal presente decreto.
La ratio che guida le disposizioni del D.M. la possiamo semplificare così: gli spazi esterni e le parti comuni di tutti gli edifici devono essere accessibili, per cui è consentito a tutti di accedere agli ingressi di tutte le unità immobiliari a uso sia residenziale sia pubblico o di servizi. Tutti gli spazi interni dei servizi pubblici quali scuole, ospedali, uffici, luoghi di cultura e di sport devono essere accessibili, per cui tutti possono accedere e possono godere degli spazi e dei servizi necessari.
Le unità residenziali devono essere visitabili in modo da garantire un buon livello di vita sociale mentre viene richiesto il solo requisito di adattabilità agli edifici residenziali unifamiliari (le villette) e nelle case a schiera.
I tre livelli di qualità sono caratterizzati da pertinenti criteri di progettazione propri di ogni singolo livello considerato.
I criteri di progettazione per l’accessibilità riguardano:
I criteri di progettazione per la visibilità riguardano:
I criteri di progettazione per la adattabilità riguardano:
Ogni criterio di progettazione viene trattato dal D.M. all’interno di un sotto-articolo specifico che ne illustra in maniera approfondita le caratteristiche funzionali, tecniche e, talvolta, materiali. Viene poi riportato il rimando alle pertinenti specifiche e soluzioni tecniche che scendono fino ai particolari dimensionali.
Non è facile né banale progettare un edificio privo di barriere architettoniche. È un compito da specialisti poiché entrano in gioco tantissimi parametri che devono essere gestiti contemporaneamente e accortamente.
Per questo bisognerebbe progettare seduti su una sedia a rotelle. I vari accorgimenti tecnici e dimensionali da tenere presente non devono essere visti come un vincolo alla libertà espressiva del progettista né un freno alla sua creatività o come un sovracosto per il costruttore ma devono essere invece vissuti e interpretati come un aiuto concreto per rendere l’architettura un servizio alle persone.
Nei criteri di progettazione e nelle specifiche tecniche e dimensionali, l’unità di misura funzionale di riferimento è, chiaramente, l’ingombro di una sedia su ruote per anziani e disabili e gli spazi di manovra che le competono per permettere i singoli movimenti e le necessarie rotazioni. Pertanto, tutte le specifiche tecniche e dimensionali sono formulate con riferimento a essa.
Gli spazi di manovra essenziali da porre alla base della progettazione degli interni possono essere schematizzati come in Figura 2.
È necessario, quindi, prevedere spazi opportunamente dimensionati come indicato dagli schemi la cui fruizione deve essere sempre possibile. Tali spazi di manovra devono essere lasciati sgombri e mai occupati o limitati da mobili o suppellettili. Sulla base delle manovre essenziali viste è possibile progettare e prevedere tutti gli spazi necessari alla libera fruizione degli ambienti. Un aspetto spesso trascurato, ma che riveste un’importanza fondamentale, riguarda la conoscenza degli spazi di manovra da prevedere davanti o dietro le porte affinché queste non si trasformino in ostacoli insormontabili. È necessario tenere presente sia la modalità di apertura (a spingere o a tirare) sia il lato su cui sono posizionate le cerniere, come spiegato nella Figura 3.
La stanza che richiede il maggior impegno progettuale risulta, ovviamente, il bagno che deve avere le dimensioni adatte a ricevere tutta la necessaria dotazione impiantistica e i servizi. Va curata la disposizione reciproca dei sanitari e gli spazi di manovra necessari per il loro utilizzo. Riassumo in Figura 4 alcune caratteristiche dimensionali che possono aiutare a progettare il locale bagno.
Concludiamo questa rapida carrellata su alcuni aspetti progettuali prendendo in esame il tema delle scale di accesso alle unità immobiliari. Le scale sono classificate in base all’eventualità di essere parte comune o meno di un edificio. Le dimensioni del vano scala e le specifiche dimensioni, quali alzata e pedata, saranno diverse a seconda della ricorrenza dell’uno o dell’altro caso, in Figura 5 alcune indicazioni in merito.
In questo paragrafo abbiamo solo accennato ad alcune tematiche inerenti alla progettazione priva di barriere architettoniche, consigliamo sempre una lettura approfondita del D.M. che interviene con competenza sui tanti aspetti specifici e fondamentali di una buona progettazione.
Se progettare è un atto sociale allora progettare un edificio privo di barriere architettoniche è un atto di rivoluzione solidale che sovverte il nostro ordine mentale mettendo al centro la persona con più difficoltà e costruendo l’edificio attorno ad essa, a sua misura. Significa portare a terra l’asticella della normalità perché tutti possano superarla senza difficoltà. Il D.M. 236/89 si è dimostrato un buon testo guida e un valido aiuto per la progettazione e vale la pena approfondirne la conoscenza.
L’autore: Sergio Pesaresi
Laureato in ingegneria civile (sezione edile) presso l’Università degli Studi di Bologna, Sergio Pesaresi è progettista e consulente esperto certificato CasaClima, progettista di case passive presso il PHI-Italia (Passive House Institute Italia) di Bolzano e CPHD – Certified Passive House Designer del PHI (Passivhaus Institut) di Darmstadt. Libero professionista e titolare dello studio logicagotica di Rimini e progettista di architettura eticosostenibile, progetta con protocolli CasaClima, Gold e Nature; riqualifica edifici esistenti con il protocollo CasaClima R e si occupa della progettazione anche di alberghi, scuole, parchi pubblici e centri sportivi. Docente ed esperto finestra CasaClima, è membro del Tavolo della Mobilità e del Forum del Piano Strategico del Comune di Rimini su mobilità alternativa e dolce. È giornalista e pubblica sulla rivista Ingenio e per Maggioli Editori, tra le sue pubblicazioni il libro Ponti termici: valutazione e correzione. Calcolo, verifica e strategie per la correzione, Maggioli Editore, 2022 e Patologie del cappotto termico, prevenzione e diagnosi, Maggioli Editore, 2023. Collabora con SEAC di Trento su ambiente ed energie rinnovabili.